Non tutti sanno che è possibile contestare una lettera di licenziamento. Si può riottenere il posto di lavoro? Scopriamolo.
Ricevere una lettera di licenziamento potrebbe creare una situazione di forte panico e incertezza.
La normativa italiana, tuttavia, concede al lavoratore la possibilità di opporsi al provvedimento dell’azienda. Il primo passo da compiere è inviare, entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, una lettera di contestazione del licenziamento al datore di lavoro.
La contestazione può essere formulata anche in maniera generica, cioè non deve necessariamente contenere le ragioni di opposizione o le prove a favore del dipendente. La dichiarazione può essere inviata tramite raccomandata A/R oppure tramite Pec.
Successivamente, il lavoratore interessato può scegliere il tentativo della conciliazione oppure avviare una causa. La prima opzione è quella più opportuna nel caso in cui si voglia il solo risarcimento; la seconda, invece, è obbligatoria se il datore di lavoro non è intenzionato a sentire le ragioni del lavoratore.
Come ci si può difendere da una lettera di licenziamento? Le strade principali sono due
Se il lavoratore prova che il licenziamento è illegittimo, può ottenere un risarcimento e, solo in specifiche e rare ipotesi, la reintegra sul posto.
La restituzione del posto di lavoro si verifica solo in caso di:
- licenziamento verbale;
- licenziamento discriminatorio;
- licenziamento ritorsivo;
- licenziamento disciplinare, se il fatto non è stato commesso;
- licenziamento per ragioni economiche, basato su circostanze non veritiere;
- licenziamento durante il periodo di maternità;
- licenziamento tra la pubblicazione del matrimonio e l’anno successivo.
Se non ricorrono tali circostanze, si può ottenere solo il risarcimento del danno, il cui importo corrisponde a due mensilità dell’ultima retribuzione per ciascun anno di servizio. Per le piccole imprese, invece, la cifra è pari a una sola mensilità. In ogni caso, il risarcimento non può mai essere inferiore a sei mensilità o maggiore di trentasei.
Quando è possibile, è sempre preferibile tentare la via della conciliazione con il proprio datore di lavoro, attraverso la negoziazione assistita con il proprio avvocato o il tentativo di conciliazione, presso l’Ispettorato territoriale del Lavoro. In entrambi i casi, si è ugualmente salvaguardati da una tutela adeguata, ma si evita di ricorrere in Tribunale.
Se, però, la conciliazione non produce gli effetti sperati o come sua alternativa, si può adire il giudice. Il ricorso deve essere depositato entro 180 giorni dall’invio della contestazione del licenziamento. Inizia, così, il giudizio vero e proprio.
È opportuno, infine, specificare che l’onere della prova spetta al datore di lavoro, che ha l’obbligo di dimostrare le cause legittime che giustificano il licenziamento.