Versare 1.000 euro o più in banca aumenta i rischi di accertamento fiscale da parte delle Entrate. Ecco alcuni consigli utili.
Oggi gli evasori fiscali con più difficoltà riescono ad aggirare le norme tributarie, e a sfuggire ai controlli dell’Agenzia delle Entrate che, grazie al coordinamento con le banche, può facilmente entrare in contatto con i dati riguardanti i movimenti nei conti correnti degli italiani.
L’Anagrafe dei rapporti finanziari è un registro che ogni banca deve tenere e grazie a cui, informa il Fisco di quanto accade in ogni c/c. Una tipica domanda del correntista potrebbe essere la seguente: in caso di versamento di oltre 1.000 euro in banca, il correntista rischia l’accertamento da parte delle Entrate? Di seguito la risposta ad un quesito piuttosto diffuso.
In sintesi, le cose stanno nei termini seguenti: la legge non pone alcun limite all’ammontare di banconote che una persona può introdurre in banca allo sportello. Attenzione però: finché si tratta di poche decine o centinaia di euro, è molto difficile – se non impossibile – subire un controllo da parte del Fisco.
Vero è che si tratta pur sempre di un’operazione tracciabile, ma è altrettanto vero che il Fisco non ha abbastanza personale e strumenti per setacciare anche i più piccoli movimenti, che ovviamente – nel nostro paese – sono una miriade ogni giorno.
Quindi sulla carta il Fisco potrebbe sì domandare giustificazioni in merito alla provenienza del denaro, onde verificare che quest’ultimo sia stato correttamente indicato nella dichiarazione dei redditi. Ciò in quanto le norme tributarie presumono che ogni accredito sul conto sia frutto di reddito tassabile, tranne il caso della prova contraria che deve offrire il contribuente.
L’accertamento fiscale per una cifra pari a 1.000 non è frequentissimo, ma può verificarsi. E le probabilità aumentano al crescere della somma depositata sul conto. Ecco perché, in queste situazioni, è assai consigliato essere muniti della documentazione utile a fornire la prova sulla provenienza dei soldi e sulla correttezza del proprio comportamento di contribuente.
Occorre una ricevuta fiscale, un documento scritto con una data certa come un contratto registrato o inviato con Pec o comunque un qualsiasi atto che certifichi la ‘dichiarazione’ della somma al Fisco, oppure l’esenzione della tassazione o la tassazione alla fonte. Ad esempio sono esentasse le somme provenienti da vendite di beni usate o da risarcimenti del danno: essere muniti di adeguata documentazione che le comprovi, eviterà che l’accertamento fiscale diventi uno spiacevole appuntamento con le Entrate.
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